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Five nights at Freddy’s  – Recensione

Five nights at Freddy’s  - Recensione

Il sogno di tanti fan è diventato realtà: FNAF diventa un film, prodotto da Blumhouse, in uscita in questi giorni nelle sale, sull’onda lunga di Halloween. Tanto fanservice, qualche jumpscare e un po’ di noia. Problema generazionale? Ragioniamoci.

Five nights at Freddy’s – La nostra recensione

La realizzazione di Five nights at Freddy’s (che da ora sarà abbreviato in FNAF) inizia circa otto anni fa. In questo arco di tempo, cambiano più volte registi – anche Chris Columbus è stato coinvolto per un periodo – e casa di produzione.

Ora, nel 2023, FNAF arriva al cinema, prodotto da Blumhouse – una delle case più importanti, soprattutto nel genere horror –  e diretto da Emma Tammi.

Non diamo comunque nulla per scontato: FNAF è un videogioco survival horror di grande successo che, successivamente, ha dato vita a  diversi sequel e  spin – off, anche in ambito letterario. 

Il protagonista del gioco e del film è Mike Schmidt, guardia notturna nella dismessa pizzeria Freddy Fazbear’s, ex locale per famiglie. L’intrattenimento durante le cene, era affidato agli Animatronics, pupazzi robotici con le sembianze di animali antropomorfi. Il locale è stato chiuso a causa della sparizione di cinque bambini, probabilmente rapiti e uccisi da un killer vestito da coniglio. Come se non bastasse, gli Animatronics di notte prendono vita e diventano pericolosi assassini.
Nel gioco è tutto molto lineare: lo scopo è sopravvivere a cinque turni di notte; nel film la trama viene ampliata, grazie all’inserimento di personaggi come la sorella di Mike, Abby, affidata al fratello dopo la morte dei genitori. Mike è un personaggio più complesso:  causati la sparizione del fratello Garrett durante l’infanzia, crea nel protagonista seri problemi mentali e di personalità.

Lo svolgimento del film avviene principalmente di notte, dal momento in cui Mike viene assunto come guardia notturna al Freddy’s, quando gli Animatronics prendono vita. Verrà presto svelato agli spettatori cosa anima questi pupazzi e permette loro di muoversi e commettere gesti cruenti. Insomma, c’è stato un tentativo da parte degli sceneggiatori di rendere la trama più fluida e avvincente, non ottenendo però sempre esiti positivi.

Se la caratteristica dei film horror è il ritmo narrativo e una regia dinamica con repentini cambi di sequenza, FNAF è un miscuglio di generi che impiega troppo tempo ad ingranare e e sono veramente rari i momenti in cui il pubblico sobbalza sulla sedia, pur tenendo conto della percezione soggettiva della paura che ha ciascuno di noi. 
Diventa davvero difficile salvare questo film, ma davanti alle mie considerazioni, mi pongo comunque delle domande, tenendo conto del gusto personale –  insindacabile –  e di ciò è stato messo in campo per la  realizzazione di questo film. 

Prima considerazione: chi è il pubblico di FNAF? Sicuramente i fan della saga. Loro resteranno soddisfatti nel vedere il film, un po’ come è avvenuto per moltissimi spettatori durante la visione di Super Mario Bros. Ci sono tutti quegli elementi che possono soddisfare l’hype dei fan. L’orso Freddy Fazbear, il coniglio Bonnie, la gallina Chica, e la volpe pirata Foxy sono stati creati dalla casa di produzione di Jim Henson (Muppet) e sono esteticamente perfetti. Gli easter egg e i richiami all’universo videoludico di FNAF ci sono. Potrebbe bastare per soddisfare la parte emotiva del fan.

Un’altra domanda che mi sono posto è legata all’età del pubblico di FNAF. Tra i preadolescenti e gli adolescenti c’è veramente molto hype. L’aspetto sociale e generazionale ha – giustamente a parer mio – un valore superiore all’analisi del film. Potrebbe essere il loro Gremlins?  
CIò che, però, proprio non mi torna è come un film horror rivolto alla Generazione TikTok possa durare 109 minuti e avere un ritmo narrativo così lento. A questo punto, fatemi fare il Boomer fino in fondo: anziché FNAF, guardate Willy’s Wonderland con Nicolas Cage.

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