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Monkey Man – Recensione

Monkey Man - Recensione

Dev Patel scrive, dirige e interpreta il suo esordio da regista. Ci si diverte, con la benedizione di Jordan Peele, tra esoterismo, denuncia sociale e tante, tante, tante botte.

Monkey Man – La nostra recensione

Chi è Dev Patel? Un attore iscritto al sindacato degli attori i cui nomi ci dicono qualcosa, poi lo si cerca su Google e capisci chi è. Le sue interpretazioni in The Millionaire (2010,  vincitore di 8 Premi Oscar)  e Lion – La strada verso casa (2016) sono probabilmente le più note al grande pubblico, ma nel corso della carriera, Patel ha sperimentato e partecipato a progetti interessanti, come Humandroid o gli ultimi corti di Wes Anderson, disponibili su Netflix. 

E proprio nel grande catalogo della piattaforma streaming doveva debuttare Monkey Man, l’ambizioso progetto al quale Dev ha lavorato per diversi anni. Che è successo poi? Che è intervenuta la Monkeypaw Productions, la casa di produzione di Jordan Peele. Secondo il regista di Get Out e Us, l’opera prima di Patel merita il passaggio in sala. E così avverrà da domani.

Ce la sentiamo di contraddire Jordan Peele? Parzialmente.

Monkey Man è un Revenge Movie ambientato in India, dove un giovane uomo anonimo (Patel stesso) si guadagna da vivere combattendo contro altri uomini; tutti i lottatori indossano una maschera. Il protagonista indossa la maschera di una scimmia, ispirata alla leggenda di Hanuman, una divinità metà uomo e metà scimmia, una delle figure più amate in India. Il ragazzo è molto legato alle tradizioni indiane più antiche, grazie all’educazione ricevuta dalla madre, assassinata dal capo della polizia durante l’infanzia di Monkey Man. Con il passare degli anni, la rabbia e la voglia di vendetta del giovane uomo non si sono placate, anzi. Finalmente, sembra essere arrivato il momento della resa dei conti, un’occasione enorme per vendicare la madre e tutte le popolazioni più fragili dell’India, vessate dal potere e da una classe dirigente corrotta e violenta. 

In Monkey Man c’è l’India in tutte le sue sfaccettature, c’è (un pizzico di) denuncia sociale verso un mondo classista e negligente verso i fragili, ma soprattutto ci sono tanti cazzotti e calci. Tutto già visto? Assolutamente sì. Non ci si annoia, ma la sceneggiatura del film è un richiamo continuo a un universo cinematografico ben definito dove Monkey Man si inserisce dignitosamente. Inoltre, qualche scena risulta superflua e i 113 minuti del film risultano a tratti eccessivi. 

Perché vederlo? Sicuramente per la regia di Patel: nonostante l’ambientazione indiana, lo stile è occidentale e richiama tutto il meglio del cinema d’azione da combattimento, sostenuto dall’ottimo lavoro alla fotografia di Sharon Meier e dalla colonna sonora di Jed Kurzel. L’estetica è davvero notevole e possiamo dire che la forma supera di gran lunga il contenuto. Sarà per questo che Peele ha insistito per la distribuzione in sala? 

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