La famiglia è una cosa seria e i Robinson lo sanno perfettamente perché i Robinson restano sempre insieme, in qualsiasi galassia e su qualsiasi pianeta. Riprendendo, volendo, il concetto di Ohana (vedi Lilo&Stitch), questa famiglia, protagonista della serie TV Lost in Space, segue costantemente questa idea, questa volontà, anche nel punto più remoto dell’universo.
Sappiate che non ho avuto modo di vedere l’originale serie del 1965, di cui questa è un remake, e quindi tutto quanto visto e provato per me con Lost in Space è completamente nuovo, estraneo da influenze o confronti di qualsiasi tipo.
Persi nello spazio
A distanza di cinquant’anni Lost in Space torna in TV e lo fa grazie a Netflix. I Robinson, diretti su Alfa Centauri alla ricerca di una nuova vita, si ritrovano improvvisamente catapultati su uno sconosciuto pianeta in seguito a un incedente che ha colpito la loro astronave. Qui iniziano le avventure di questa famiglia, alla disperata ricerca della sopravvivenza: un padre e una madre dai rapporti non certo idilliaci sono affiancati da tre figli tra cui spicca Will Robinson (Maxwell Jenkins), il più piccolo tra tutti ma che performance non ha nulla da invidiare al resto del cast, anzi. E poi c’è lui “lui”, chiamatelo alieno, robot o come vi pare, forse la vera star di Lost in Space. L’intera serie si snoda attraverso diversi filoni che, ovviamente, finiscono con l’intrecciarsi tra loro. Da una parte c’è il bisogno dei superstiti di riuscire a sopravvivere e trovare una via di fuga mentre dall’altra c’è il rapporto tra Will e il robot, vero ed emozionante come non mai e capace di regalare momenti di vera commozione. In questi due filoni però si inserisce June Harris (Parker Posey), forse uno dei lati più controversi di tutta la produzione. Il suo ruolo infatti è stato forse fin troppo caratterizzato, quasi a voler sottolineare e ostentare le sue caratteristiche. Una continua marcatura, episodio dopo episodio (dieci in totale), che alla lunga rischia addirittura di “annoiare”, come se si dovesse affrontare un’autostrada capace di andare sempre dritto, senza nessuna curva, senza alcun cambio di direzione. Il personaggio della Posey nel complesso, per questa sua eccessiva caratura, risulta piatto, anche se può sembrare assurdo.
Nulla da eccepire invece per quanti riguarda gli effetti speciali e, soprattutto, la realizzazione del robot, eseguita perfettamente e capace, come già citato, di emozionare. Non so se siete spettatori dalla lacrima facile (non è questo il mio caso) ma è probabile che Lost in Space, accanto ad azione, avventura e qualche risata, saprà anche farvi commuovere, commentando con un sonoro “NO” quanto appena visto sullo schermo.
La regia e la sceneggiatura degli episodi è stata ben costruita, nonostante alcuni tratti sembrino un po’ classici e banali. Nonostante questo la serie si lascia guardare con una certa facilità, anche per la bravura di mettere, in ogni finale, il giusto aggancio per voler proseguire. È vero però che per vedere effettivamente decollare la serie è necessario aspettare i primi tre episodi e forse, su un totale di dieci, questo numero è eccessivamente alto.
Nel complesso Lost in Space è una serie discreta e ben fatta, con alcuni elementi positivi ed altri negativi. Accanto a un’ambientazione talvolta capace di spezzare il fiato, non mancano citazioni dal mondo del cinema (come The Truman Show) ed effetti speciali di primo livello. Resta un peccato per la poco profondità di alcuni personaggi e per uno svolgimento che nel suo complesso non riesce a regalare sconvolgenti colpi di scena ma tanti piccoli bei frammenti sparsi qua e là lungo tutto gli episodi.
Riassunto
Lost in Space è una serie discreta, capace di regalare momenti intensi, gradevoli e anche emozionanti. Qualche difetto non rovinano il prodotto, consigliato a chi ama le ambientazioni sci-fi e chi cerca una storia coinvolgente ma non per forza eclatante.
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Trama6.9/10
6.9/10
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Regia7.5/10
7.5/10
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Personaggi6.9/10
6.9/10
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Colonna sonora6.5/10
6.5/10