Ricorda il 5 novembre. Prova a chiudere gli occhi e immagina un futuro che non esiste, prova a pensare a quello che sarà il genere umano in un periodo non tanto lontano, magari tra vent’anni. Pensa a quello che sarà il 5 novembre 2038. No, non c’entra nulla Guy Fawkes e la congiura delle polveri (forse) ma è da qui che parte la nostra storia, la mia storia, la tua storia.
Detroit: Become Human è l’ultima fatica di David Cage e Quantic Dream, team di sviluppo che da sempre ha saputo sorprendere. Scelte morali e decisioni che sono in grado di cambiare la storia e il percorso degli eventi. In un futuro caratterizzato dalla presenza degli androidi l’umanità viene messa di fronte al proprio destino.
Il futuro è adesso
Il genere umano ha conosciuto negli ultimi anni un progresso, a livello tecnologico, decisamente esponenziale, con una curva costantemente tendente verso l’altro, quasi a livello verticale. Figli di questo progresso, gli androidi sono diventati parte della vita di tutti i giorni: vengono creati, venduti, commercializzati, riparati e utilizzati per ogni sorta di mansione. Sostituiscono gli umani in alcuni lavori, con le relative conseguenze, e creano una società che per certi aspetti non è così differente da quella che viviamo o che abbiamo conosciuto, dove il diverso fa paura e non viene compreso (volutamente o meno).
È in questo contesto, in un 2038 non poi così tanto distante come si possa pensare, che entrano in scena Markus, Connor e Kara, i personaggi di Detroit: Become Human. Non a caso non ho utilizzato il termine protagonisti perché in realtà, con un tono maggiore rispetto al passato, il vero protagonista assoluto è il giocatore, sono io, sei tu.
Nell’eseguire questa recensione proverò, per quanto possibile, a non svelare troppi contenuti sulla trama anche se, inutile negarlo, è questo il vero cuore pulsante del gioco. Le storie, le sfumature e le scelte, le tanto agognate scelte, andranno a dipingere ogni volta una storia diversa. Ogni giocatore si troverà quindi di fronte un racconto differente, un finale unico e così via, come ormai da diversi anni Quantic Dream ha abituato i suoi fan. In questa Detroit del futuro gli androidi si riscoprono vivi, assumono una propria coscienza e proprio lì, in quella sottile linea di confine tra macchina e genere umano, in quel piccolo pertugio tra dubbi e incertezze, entra in scena il cuore pulsante di Detroit: Become Human.
Il gioco naturalmente ti porta a dover scegliere e, per quanto semplici possano sembrano, alcune decisioni non sono certo prendibili a cuor leggero, specie quando si parla di vita o di morte perché, credetemi, capiterà. Queste premesse servono per far spiegare, a chi non lo sapesse ancora, quanto sia particolare e unico il titolo creato da David Cage che, attraverso un albero di possibilità mai visto prima, riesce a offrire infinite possibilità al punto che servirà una quantità indicibile di ore di gioco per poter svelare e sbloccare ogni scena.
La tua storia, il tuo destino
Ma come rigioca a Detroit? Anche in questo caso, Quantic Dream ha voluto consolidare le macchine già note, basando il gameplay sui QTE (quick time event) e sulle decisioni che si dovranno prendere per completare il quadro e dare un senso al tutto. Naturalmente qualcosa cambia a seconda del personaggio che si andrà a controllare: Markus propone un background più di azione, Kara si avvicina maggiormente, se vogliamo azzardare, a una componente slealth mentre Connor sarà il giusto compromesso tra tutto quello che David Cage ha pensato per Detroit. Se siete fan dei lavori di Quantic Dream, non potrete non amare questa esclusiva PlayStation 4, massima espressione del videogioco interattivo, capace di sfondare le classiche barriere che si possono avere quando si impugna un pad. Thriller interattivo o videogioco cinematografico, potete chiamarlo come volete ma Detroit resta qualcosa di unico per grandezza e profondità. Non esiste la possibilità di commettere errori, esiste solo il susseguirsi degli eventi e le naturali conseguenze che questi vanno a comportare.
Chiaramente è possibile rigiocare le scene, scoprire nuovi sviluppi e tracciare nuovi solchi prima sconosciti ma le impressioni che si hanno alla prima esperienza restano uniche, per ovvie ragioni. Confesso però, che a differenza di altri titoli della software house, come Heavy Rain e Beyond: Two Souls, questa volta la voglia di riprendere il pad in mano e incontrare ancora una volta i personaggi creati da Quantic Dream è veramente alta, segno che con questo titolo si sia fatto il giusto passo in avanti verso la completa realizzazione delle idee di Cage. Detroit: Become Human, non lo nego, è un titolo che ho amato. È la quintessenza dell’intrattenimento moderno, capace di dare in mano al giocatore ogni scelta e ogni possibilità. È vero che forse David Cage ha voluto spingersi un po’ troppo in là, creando così tante ramificazioni e intrecci che il tutto vuole quasi sembrare un mero esercizio di virtuosismo. Per la serie, ecco fin dove possiamo spingerci.
Purtroppo però, e questo va detto, questa esclusiva PS4 non è esente da imperfezioni e, oltretutto, non di poco conto. Se da un punto di vista contenutistico non si può muovere alcuna critica (è innegabile che i ragazzi di Quantic Dream sappiano raccontare storie, eccome) diverso è invece il discorso per il comparto tecnico. Graficamente la realizzazione dei personaggi è qualcosa di magistrale, dove volutamente androidi e umani si confondo fino ad avere l’impressione di avere a che fare con attori in carne e ossa piuttosto che con alter ego creati digitalmente. Diverso invece il discorso per la realizzazione tecnica di Detroit: Become Human. È un vero peccato infatti che il gioco abbia singhiozzato più e più volte, sopratutto nel finale quando sono andato incontro addirittura a un paio di riavvii forzati nelle fase più concitate del gameplay.
Degna di nota anche la colonna sonora dove i temi realizzati apposta per i tre personaggi sono il giusto abito che un sarto realizza su misura per i suoi clienti, uomini o androidi che siano.
Riassunto
Detroit: Become Human è l’ultimo capolavoro firmato David Cage e Quantic Dream. A fronte di una trama coinvolgente e scritta in maniera eccezionale, il comparto tecnico non riesce a nascondere più di un’imprecisione, andando a rovinare, nel complesso, il giudizio sull’esclusiva PlayStation 4.
-
Gameplay9.0/10
9/10
-
Longevità8.0/10
8/10
-
Comparto Tecnico7.0/10
7/10
-
Trama10/10
10/10
-
Colonna sonora9.0/10
9/10